sabato 9 febbraio 2013

Viaggio a Poissy


Come tipico dei sobborghi della capitale francese, lunghe vie di case unifamiliari occupano le aree residenziali principali, che vediamo scorrere davanti al finestrino appannato della RER. Poissy dista circa mezz'ora di treno veloce da Parigi: ci hanno detto bene e arriviamo in orario; 




La vecchia stazione dei treni ci accoglie con qualche lavoro in corso: vediamo degli operai in forze che stendono strati di isolante liquido sopra di un massetto di cemento, al di sotto del manto stradale. 


Disinteressati dal resto, io aspirante ingegnere, lui appena architetto, seguiamo due giapponesine con blocchi da disegno e album e scopriamo attaccando bottone che il numero del nostro autobus è il 50 direzione "la Coudrai".

Villa Savoye invece, come tutti sanno dopo aver imparato a leggere il francese, è al numero 82 di Rue de Villers; In poco meno di 5 minuti, arriviamo a destinazione con un simpatico sconto dell'autista del bus, che perdona la nostra ignoranza, o più che altro non ci vuole spiegare che l'abbonamento per i bus di Parigi non è valido a Poissy.





La natura affiora al di là del muro, che ci aspetta immobile alla fermata dell'autobus da cui scendiamo in circa 15 persone, tra cui io e Fabrizio; Almeno 5 cartelli indicano il cancello d'ingresso di Villa Savoye, che ruota sopra le cerniere e apre l'accesso a noi visitatori mattinieri per le 8:00. 

Come studi atavici dimostreranno: la zona giorno (soggiorno, cucina, camere da letto e bagni) si troverà al primo piano, mentre il piano terra, notiamo subito, è occupato dalla hall e dagli uffici per gli impiegati del museo, oltreché da un garage a cui noi non avremo accesso. Il tetto è anche un Solarium che ospita piccole zone verdi, che noi ora vedremo per forza di cose ricoperte di neve: i 5 punti dell'architettura infatti non potranno impedire l'attacco degli agenti atmosferici, diciamo tra noi. 
Molti volantini in diverse lingue ricoprono la scrivania all'ingresso, mentre una grande sorpresa ci sorride, quando scopriamo che noi piccoli uomini al di sotto dei 26 anni non paghiamo.


Camminando riaffiorano gli studi e ricordiamo che il piano terra è stato in gran parte determinato dallo studio del movimento di una macchina dell'epoca che entrava nell'edificio. Questo movimento determina anche la struttura, basata su una griglia ortogonale di pilastri in cemento, posti 4,75 metri l'uno dall'altro. La casa è stata abitata dai proprietari per un breve periodo di tempo. L'edificio fu completato nel 1929, ma dopo l'invasione tedesca della Francia, nel 1940, fu abbandonato. Nel 1963, la Villa Savoye è stata dichiarata "patrimonio architettonico" dal governo francese, che la restaurò a sue spese e ho fatto anche la rima. Oggi è un "museo", dedicato alla vita e alle opere di Le Corbusier e riceve migliaia di visite ogni anno, per lo più di architetti, ingegneri e di studenti.



Una delle giapponesine, entrate prima di noi, si siede in cucina e inizia a disegnare, noi invece sezioniamo mentalmente, rileviamo sistematicamente e immortaliamo fotograficamente, ogni spiraglio, buco, angolo, spigolo e granello di polvere intorno a qualsiasi stanza. Dopo circa due ore di rilievo sul campo, iniziamo a sfondare le barriere che ci impediscono l'accesso ad alcune zone ghiacciate, bloccate per pericolo di scivolamento e trionfiamo nella nostra piccola manomissione al sistema di sicurezza; manomissione scoperta solo da una coccinella che ci osserva arrossando.




Dopo circa quattro ore, iniziamo a fingere di essere studenti universitari francesi, mischiandoci ad altri ragazzi che seguono la lezione di un professore dai capelli grigi che indica delle zone del soggiorno da immortalare su qualche album da disegno grande; che però noi non abbiamo e allora ci dileguiamo per mettere radici in cucina dove troviamo negli infissi, dei nuovi amici da impressionare in dettaglio sul Moleskine.


Arrivato il pomeriggio, dopo essere diventati un tutt'uno con la zona delle rampe, circondati da diversi triangoli di ombre, ci svegliamo da una sorta di trance e migriamo di nuovo nella dimensione reale da cui proveniamo normalmente: la signora dell'ingresso ci ricorda infatti che presto chiuderà il museo.

Quando andiamo via, già cerchiamo di capire quando torneremo e nel mentre: inizia a nevicare.

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